Raminghi a Firenze
by
posted on
Parlerò di fatti miei, ovvero che sono passati nove mesi da quanto ho iniziato a fare vita solitaria a Firenze. È stato – devo ancora capire se lo è tuttora – un esperimento in cui, approdato su terre sconosciute, ho cercato di ambientarmi senza usare il mio solito approccio socievole.
Privato di tutte quelle relazioni e abitudini che ho coltivato dai tempi del primo anno d’università – relazioni che, nonostante le evoluzioni, hanno mantenuto quell’aria leggera e fancazzista degna di Supergiovane – a Firenze ho potuto esplorare un contesto completamente diverso, che ho chiamato “il mondo degli adulti”. È un mondo in cui alle persone viene imposta una vita da vigilantes: di giorno impiegati pubblici, commessi, programmatori, librai, commercialisti; di notte sommelier di serie Netflix, contorsionisti su tappetini yoga, bevitori di birre al Jazz Club di via Nuova de’ Caccini, sollevatori di pesi.Ciò che distingue il mondo degli adulti da quello dei supereroi è chiaro: se in quest’ultimo ciò che rende grande Batman è la propria singolarità rispetto a Bruce Wayne, nel mondo degli adulti tutti sanno di essere costantemente circondati da altri Wayne di giorno e da altri Batman di notte.
E per mantenere alto il livello di Batman rispetto al suo corrispettivo Wayne – siccome è inammissibile pensare a un Batman che non sia più grande del suo alter ego – la società fiorentina ha adottato una regola: “Nessun Bruce Wayne dovrà aver mai contatti coi Batman dei Bruce Wayne vicini”.
Tradotto in italiano: “Gli adulti dovranno proteggere la loro identità a scapito di connessioni leggere e genuine”.Questa regola potrà essere una conseguenza morale del desiderio generale di appartenere a cerchie esclusive, come sosteneva C.S. Lewis parlando degli Inner Ring (ciao Raf), ma a forza di manifestarsi come conseguenza di cose, sento come se si fosse evoluta in una vera e propria norma implicita.
La percepisco ogni mattina sul treno per Santa Maria Novella, circondato dalle solite facce di pendolari. In questo microcosmo ho individuato tre gruppi principali di Bruce Wayne.
Al primo appartengono i Wayne che, nonostante la tenuta da corporativo miliardario, non fanno a meno d’indossare da qualche parte, anche piccolo, ma in bella vista, il logo-pipistrello di Batman. Sono uomini e donne che, nell’aria di distacco di cui si circondano, evitano il contatto visivo con le altre persone ad ogni costo. Alle interazioni umane che il destino impone loro come conseguenza ineluttabile del trovarsi in un luogo pubblico e affollato come un treno, cercano di chiudere il discorso il più in fretta possibile, e con una dedizione eccessiva, come a voler dire: “Lo vedi questo pipistrello qui? Io non sono un Wayne tra tanti, io sono Batman! Stammi alla larga se non vuoi farti male”. Una cosa che li accomuna tutti indiscriminatamente, è che le loro sopracciglia non si distendono, rilassate, davvero mai.
Al secondo gruppo appartengono i Wayne ectomorfi. Mancano di una muscolatura sufficiente per essere giustizieri notturni come si deve, e pongono gran parte delle loro speranze nella vita da Bruce Wayne. Desiderano il contatto con gli altri Wayne, ma hanno al contempo paura di un confronto tra i loro Batman, dal quale, ai loro occhi, non potranno mai uscire vincenti. Li accomuna il guardarsi molto intorno, felici ma sulla difensiva quando interagiscono con gli altri.
Al terzo gruppo appartengono i Wayne sindacalisti, i più comuni. Perfettamente inseriti nella trama della società, fatturano di giorno e sono soddisfatti dei pestoni che tirano di notte sui criminali. Stanno cinicamente per i fatti propri, ma possono talvolta essere disposti a riunirsi in sindacati per parlare male di lavoro o della stupidità altrui, perché a Gotham, dove niente funziona come dovrebbe, pare sia più facile parlare di quanto sia marrone la merda che azzurro il cielo.
Se guadagni la loro fiducia, sono capaci di condividere, col tempo, aspetti della loro vita segreta notturna. Tale apertura, però, ha l’estensione del foro di una serratura che non potrà mai essere aperta.Ho conosciuto un Wayne del terzo gruppo, geloso del proprio Batman, e un Wayne del secondo gruppo, fin troppo desideroso di contatto. Ho rinunciato ad avvicinarmi a un Wayne del primo gruppo, la sua chiusura era tale da scoraggiare anche uno come me. In ogni caso, qualunque cosa avessi fatto, la regola implicita sarebbe rimasta inviolata: nessun Wayne avrebbe mai incontrato il Batman degli altri.
All’inizio, questa dinamica mi faceva sentire libero. Nel mutuo accordo di ignorarci reciprocamente come Bruce Wayne, potevo pensare ai fatti miei senza desiderare di conoscere o essere conosciuto. Ma una libertà data dalla mancanza di responsabilità è ben lontana dall’appagamento che deriva dall’avere un impatto sugli altri. Così ho iniziato a chiedermi se queste dinamiche fossero davvero immutabili. Per giorni ho studiato le persone intorno a me, ormai familiari, e le ho viste irremovibili e con una dedizione ingiustificata ai loro ruoli, per me incomprensibile.
La mia permanenza mattutina sul treno si era trasformata, da uno spensierato rispetto dei confini altrui, a una camminata sospesa su un campo minato: esporsi un po’ corrispondeva, al primo passo falso, a un’eventuale esplosione. Ciò che prima sentivo come libertà, era diventata solitudine, e dopo altro tempo, distacco. Non ero più circondato da persone, ma da un sistema sociale rigido in cui ogni ruolo era assegnato. Non c’erano nemici, solo regole. Non regole che dovevo seguire, ma regole che sapevo gli altri avrebbero seguito.
Nelle mie camminate per il centro mi sentivo come un ramingo errante, inseguito da un’entità invisibile, ostinata nel farmi sentire costantemente osservato, ma altrettanto determinata a ignorare tutto quello che facevo.
Mi sono venute in mente le parole che Aragorn disse, al Puledro Impennato, agli Hobbit che aveva appena conosciuto, dopo aver detto loro che non si era presentato subito perché voleva prima assicurarsi che non fossero spie del nemico:“Devo ammettere che speravo di esser preso per quello che ero. A volte un uomo braccato è stanco dei sospetti e anela all’amicizia.”
Queste parole risuonano nel mio animo, e credo anche in quello di altri. Come nella libraia che mi inseguì un giorno per mezza Feltrinelli per spiare prima cosa stessi leggendo e per chiedermi poi se avessi bisogno d’aiuto con qualche consiglio su cosa leggere, o nel signore col trolley gigante che una mattina, mentre aspettava il treno con me sul binario, si mise a spiegarmi allegramente gli innumerevoli motivi per cui l’animale marrone e allungato che avevamo appena visto infilarsi in un cespuglio davanti a noi era, secondo lui, una faina.
Spero, con questo, d’avervi convinto che la trilogia del Signore degli Anelli sia senza dubbio più bella di qualsiasi fumetto della DC Comics.